venerdì 4 aprile 2008

Olimpiadi e Tibet


Quest'anno le Olimpiadi ci danno appuntamento a Pechino, le Olimpiadi simbolo della competizione pacifica e della democrazia in Cina dove la democrazia è soltanto una bella parola e lo dimostrano i fatti di cronaca. Nel nostro piccolo ne abbiamo parlato anche noi con Marina Maroncelli...

Continuiamo a coniugare la verve femminile con l’attualità:

OLIMPIADE e TIBET

I Giochi Olimpici sono una vetrina internazionale importantissima, e un’occasione oltre che un’opportunità di crescita economica per il Paese ospitante.

Diventa più importante se è la Cina impegnata a migliorare la sua immagine e ad affermarsi come superpotenza. Ma in qualche modo deve rendere conto delle sue azioni di fronte all’occidente e la repressione nel Tibet e l’appoggio dato al governo del Sudan responsabile del genocidio in Darfur meriterebbero, secondo un movimento d’opinione, una reazione forte che potrebbe arrivare anche al boicottaggio dei Giochi.

Secondo me, non andare a Pechino adesso non ha senso, sarebbe un’ipocrisia, ha sbagliato il CIO ad assegnare l’Olimpiade a quel Paese che ha gravi limiti nel rispetto dei diritti individuali, nella giustizia, nella democrazia, nella libertà di culto. Anche il Comitato Olimpico non pensa più agli ideali dello sport, ma solo agli interessi, questo è il vero problema.

Ci partecipano ventimila atleti ed è diventata un’impresa che gestisce cifre enormi, perciò ha scelto la Cina che decide della svalutazione del dollaro, ha interessi in Africa, Europa e ovunque nel mondo.

A quattro mesi dall’inizio dei Giochi, il governo cinese ha protestato sostenendo che la politicizzazione delle Olimpiadi è contro lo spirito di Pierre de Coubertin, tuttavia l’indignazione della nomenklatura cinese non impedirà a quelle minoranze etniche di religiosi, di giornalisti che sono stati vessati dal regime di far sentire la loro voce e di trovare l’opinione pubblica internazionale pronta ad ascoltarla.

Per i Tibetani è un’occasione unica e impedibile per sostenere la loro causa che, grazie all’opera politica svolta dal Dalai Lama durante i cinquanta anni di esilio, conta simpatizzanti in tutto il mondo.

Paradossalmente, l’avvicinarsi del fischio d’inizio sta producendo un effetto opposto a quello sperato: per la Cina ogni scusa è buona per stroncare sul nascere qualsiasi iniziativa destinata a turbare la loro società armoniosa, il Tibet fa parte dello stato cinese e l’integrità territoriale non si discute.

Cosa ne penseranno i Cinesi che vivono in Italia della rivolta dei Tibetani?

Proprio un anno fa per la prima volta la comunità cinese di Milano si ribellava alle autorità italiane, poi il silenzio…


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